OSTIA, ABBIAMO UN PROBLEMA… – di Alessandro Oronzini

Dieci (e più) anni di retroscena tra imprevisti, problemi, grattacapi, piccoli drammi, sfiorati disastri nelle gare organizzate dai Bancari

Con questa 45ma edizione della RomaOstia, festeggio il mio decimo anno di presenza nell’ambito del comitato organizzatore della mezza più partecipata d’Italia.

Invece di un bilancio – data la mia vena di natura pessimistica, legata a doppio filo con la legge di Murphy (“se una cosa può andare male, andrà male”), suffragata dall’hashtag che mi ha appioppato Laura, #mainagioia – preferisco ricordare i retroscena, i “dietro le quinte”, di piccole tragedie organizzative (di tutte le nostre gare) di cui sono stato testimone o, peggio ancora, direttamente interessato – ma di cui spesso e volentieri i partecipanti sono assolutamente all’oscuro – cercando però di trattarle in chiave tragicomica.

E così, per il titolo di questo resoconto ho rivisto e corretto la celebre frase di Jim Lovell, l’astronauta della fallimentare missione lunare dell’Apollo XIII, giocando sull’assonanza tra la località sede del Centro controllo delle missioni spaziali della NASA e quella dell’arrivo della nostra gara madre.

Premessa: devo il mio ingresso nel fantastico comitato organizzatore delle gare del GSBRUN a un cane. Era il 25 aprile 2009, giorno – oltre che della Festa della Liberazione – del Giro delle Ville Tuscolane. All’epoca, da infortunato, avevo seguito la carovana del mio gruppo sportivo per dare una mano al gazebo (ancora non ero presente in pianta stabile); in prossimità della partenza, quando “The Voice” aveva già iniziato a declamare il count down dal -10, un simpatico e docile quadrupede, sfuggito al padrone, decideva di fare bello sfoggio di sé entrando sulla sede del percorso e sistemandosi bello tranquillo al centro della strada, a poche decine di metri dalla linea della partenza, dove, di lì a pochi secondi, sarebbe transitata la masnada dei concorrenti. Vedendo che nessuno si era interessato di quel cane, al “meno 3” decisi di avventarmi su di lui, di prenderlo per il collare e di trascinarlo sul marciapiedi. Questo straordinario gesto eroico (si legga l’ironia) fu osservato dal nostro superpresidente Coach del luxe, che, apprezzato lo spirito di iniziativa e la prontezza di riflessi, con fare sbrigativo mi convinse ad unirmi al gruppo di cui, dopo oltre dieci anni, mi onoro ancora di fare parte.

Il battesimo (davvero del fuoco) fu la Dee Jay Ten corsa nel maggio dello stesso anno. Prima e – fortunatamente – unica edizione organizzata dai Bancari Romani, prevedeva la partenza in Piazza di Santa Maria Liberatrice, in zona Testaccio. Fresco reduce dalla fine di una importante storia sentimentale, anche per distrarmi, mi ero proposto per collaborare sia alla consegna del pacco gara il sabato, sia a una mansione domenicale che coincise col recupero chip. Qualche tempo prima avevo manifestato a Luciano la curiosità di seguire una gara dall’auto di testa. Lui, prendendo la palla al balzo, mi rispose, “guiderai quella della Dee Jay Ten”. Ovviamente non intendevo tale onere, ma solo di poterne essere ospitato, anche nel portabagagli….

Se il buongiorno si vede dal mattino, avrei dovuto subito evincere che la giornata sarebbe andata davvero storta da un rapido scambio di battute con un signore dalla candida barba (solo dopo associai quel volto al nome di un noto scout del mondo podistico africano), che di seguito chiamerò “il Prof”, che, vedendomi uscire dall’auto di testa dopo averla sistemata davanti allo start, mi chiese (omettendo il rituale saluto di cortesia ed evitando accuratamente di rispondere al mio) se conoscessi il percorso. Risposi un po’ infastidito “Lo conosce Luciano”. Sua risposta “E chi è Luciano?”. E io “Come chi è Luciano?? Luciano Duchi, l’organizzatore della gara”; e lui: “Sono io l’organizzatore della gara!” E io: “Se sei l’organizzatore della gara, il percorso lo devi sapere tu!”. Fortunatamente arrivai solo a bofonchiare, senza farmi sentire, quella frase, per opportuna scelta diplomatica, anche perché, proprio in quel momento si materializzava sulla scena il Lupus in fabula, riuscendo contemporaneamente a tacciare il prof (del tipo “Lèvate, statte zitto, ce penso io”) e a formare il cordone umano con la sola imposizione delle mani, allo scopo di contingentare tutti i partecipanti dietro la linea di partenza.

Tutto pronto: a dirigere la carovana la mia ammiraglia e il SUV con il cronometro guidato da Valeria Frazzini, entrambi i mezzi forniti da una nota casa costruttrice francese, sponsor della manifestazione.

La prima parte del viaggio molto suggestiva: la strada del percorso deserta, passaggio su Via dei Fori imperiali e, dietro, il terzetto di testa formato da Meucci, Pertile e Carosi. Ma già all’altezza di Largo Ricci, il primo intoppo: l’auto dell’allora responsabile del percorso, Franco, resta in panne, costringendo il poveretto a sfruttare in corsa il passaggio di uno scooter di appoggio al mezzo di ricognizione. Messa una pezza al problema, si giunge a Viale Giotto da Via Baccelli. Una volta scollinato, all’incrocio con Via dei Guerrieri, vedo una Panda guidata da una signora appanicata, esattamente in mezzo alla strada. La scena è resa involontariamente comica da un vigile che, urlando e gesticolando alla malcapitata, le intima di tornare indietro. La signora, apparentemente ipnotizzata, resta inchiodata sul posto, a tal punto che giunti a quell’incrocio, sia io che Valeria siamo costretti a una deviazione per non colpirla. Al passaggio del duo di testa (Carosi nel frattempo aveva perso contatto), il patatrac: la donna, risvegliata dal torpore, invece della retromarcia, ingrana la prima e fa fare un sobbalzo in avanti alla macchina esattamente nel momento in cui Meucci e Pertile si trovavano allineati al suo cofano…. Guardo la scena dallo specchietto retrovisore e vedo i due podisti divincolarsi da morte certa con un balzo laterale stile Barysnikov… Non mi esce altro dalla bocca che “Oddioooo!!!”. Luciano e il Prof, che si trovano in auto con me, all’unanimità mi chiedono “Che succede??”. E io, minimizzando: “Niente, niente, mi sono sbagliato”. Non ho ancora finito di detergermi il sudore ghiacciato che mi ha appena percorso la fronte che, in discesa su Viale Giotto, noto che il filare di transenne che delimitano la sede del percorso si interrompe. Chiedo a Luciano dove andare, indicando come prima opzione quella di destra. Mi risponde, evidentemente fraintendendomi, “Sì, vai lì”…. E all’improvviso, per errore, usciamo da percorso e ci troviamo perfettamente incastrati tipo Tetris nel traffico di Piazzale Ostiense. Mi volto a sinistra e vedo Valeria procedere sulla strada giusta seguita dal duo di cui sopra. Inizio una serie di manovre evasive, una ventina di infrazioni, tra cui passaggi ripetuti su corsie preferenziali e finalmente riesco a liberarmi dal traffico e a risalire via Marmorata fino all’incrocio con Via Caio Cestio (la strada del cimitero degli atei) sede del percorso. Giunto lì, scendo al volo e faccio per strappare il nastro che chiude il percorso, quando vengo fermato da un bravo e zelante volontario della protezione Civile: “Fermo! Qui passa una gara” e io: “Sono io la garaaaa!!!” Ometto le spiegazioni, strappo il nastro, rientro in auto e mi rimmetto nel percorso, riuscendo a raggiungere e a superare Meucci e Pertile. Tutto è bene quel che finisce bene…. Col cavolo!

Giunti a Via Zabaglia, il tracciato prevedeva una svolta a sinistra in direzione delle mura e, prima degli archi, un giro di boa (biscotto) per il ritorno in direzione di Via Galvani. Giunti agli archi, il caos: i vigili non hanno bloccato il traffico in tempo e le auto invadono il percorso. Secondo Tetris (di cui resta vittima anche il SUV di Valeria) e il povero duo che improvvisa un percorso dirigendosi, erroneamente, in zona Campo Boario, dove c’è la discarica dell’AMA. Mentre già me li prefiguro tra le fauci di un’autocompattatrice, il traffico miracolosamente si dissolve e riusciamo a riprendere la corretta marcia. Mi volto verso i mie due “ospiti”, ormai ridotti a statue di sale, e subito dopo, con la coda dell’occhio, rivedo sbucare dal nulla il mitico duo, che, non si sa come, è riuscito a ritrovare la retta via. Mi sfugge un poco opportuno “Evvaiii!”, soprattutto perché i guai ancora non sono finiti. Il tratto di Via Galvani prevedeva una sorta di chiocciola, tipo indirizzo mail, all’altezza del parcheggio dell’ex mattatoio. Ma in quel punto sono costretto a bloccare la macchina: qualche simpatico burlone aveva nel frattempo spostato le transenne restringendo la carreggiata di gara in modo tale da impedire il transito alla mia ammiraglia, rimanendo praticamente incastrata. Una scena davvero pietosa quella dei due nostri eroi costretti a puntellarsi tra il cofano e la vicina transenna per scavalcarci, tipo Nino Castelnuovo nella reclame dell’Olio Cuore di qualche lustro fa, e proseguire in questa gara da incubo. Con Luciano e il Prof in uno stato tra il comatoso profondo e la decomposizione organica, e quindi poco inclini a fornire suggerimenti su come uscirne, decido di scendere nuovamente e allargare le transenne per consentirci il passaggio. Anche questa volta risalgo la testa e svolto finalmente sul rettilineo finale. Ricordo a quel punto le indicazioni fornitemi da Gianfranco, il responsabile dell’arrivo, di accelerare e di uscire alla terza traversa a sinistra (era contromano) per liberare la strada allo sprint finale. Eseguo alla lettera e… “Nooooo!!!!” Mi ritrovo faccia a faccia con un camion dell’AMA che procede in senso inverso. Inchiodata con fumata delle gomme e, dietro me, Valeria. Solo la prontezza di riflesso (o una botta di c….) ha impedito un frontale con successivo tamponamento da diversi migliaia di euro di danni. Esco dall’auto maledicendo il mondo, manco so a chi lascio le chiavi, e mestamente mi reco al recupero chip.

Di quella gara ricordo ancora il commento a latere di Claudio Leoncini: “Non va bene gareggiare con tutto questo caldo e poi mi sa che mancavano una settantina di metri”. L’ho squadrato quasi provando odio…. Ma, d’altro canto, non aveva sentore di quello che avessi passato.

Con questa “splendida” esperienza consideravo già conclusa la mia esperienza nell’organizzazione gare, e invece…..

 

Capitolo Telethon – Walk of life

Dicembre 2009. Accettai l’invito di Luciano a unirmi all’organizzazione della “Corri per Telethon” di buon grado, sebbene sapessi che, non gareggiando, avrei dato l’addio a qualsiasi speranza di vittoria del campionato sociale di quella stagione. Venivo da un filotto di 5 primi posti bancari; vincendo le ultime due gare (tra cui la Corri per Telethon, appunto), avrei raggiunto Andrea (qualche anno dopo sciaguratamente e tragicamente vittima di un investimento stradale) e, grazie al gioco degli scarti e al numero di vittorie, mi sarei aggiudicato il titolo. Col senno di poi sono ancora più contento di quella scelta, non solo per i tragici accadimenti di qualche anno dopo, ma anche perché, a parità di età, tra noi due non ci sarebbe stata competizione dati i ben 13 anni che separavano un autentico fenomeno da un semplice atleta di livello amatoriale appena un po’ avanzato; insomma, per come sono fatto era nell’ordine naturale delle cose assegnare al più bravo il giusto guiderdone.

Tornando all’organizzazione, il mio compito è di manovalanza (si comincia sempre dalla base per crescere): attaccare i banner pubblicitari, ossia i famosi e famigerati TNT (il flagello del povero Mazzoli, che ogni volta si trova a fare i conti con fascette e personale).

All’epoca lo sponsor era la “Compagnia dei Pescatori Posillipo”. Mi chiedevo: “Ma che c’entra la pesca con Telethon?” Battuta indegna anche del peggior avanspettacolo pecoreccio, chiosata da Laura solo con uno sguardo misto tra l’odio e il pietoso. Si trattava di un’arcinota (se lo dice lei….) griffe di moda, con capi pregiati e costosi di rigorosa manifattura made in Italy.

Condivido il compito dei TNT con Paolo Salomone: il marchio della compagnia campeggiava su gran parte del Pincio e del percorso. Oltre a questa, ci danno anche l’incombenza di realizzare un giro di boa all’altezza dell’obelisco di Trinità dei Monti per far un andirivieni dal Pincio fino alla tremenda Via di San Sebastianello (non si sa se sia peggio farla in salita o, come avvenuto in questo caso, in discesa). Ci accingiamo a costruire la curva quando da una pattuglia della Polizia Municipale esce un graduato tutto crucciato e ci blocca subito. Malgrado la disposizione dirigenziale riportasse la chiusura della strada nell’orario in cui stavamo iniziando l’allestimento, il vigile se ne esce con un secco “Nun me ne frega un ca@@o, qui se chiude quanno me pare a me!” Da quel giorno presi coscienza che si trattava di un intralcio che in diverse occasioni sarebbe diventato norma standard per alcuni tratti di percorso di talune nostre gare – si veda l’esempio di Piazza Porta Capena, incrocio Via di San Gregorio, contraddistinto dall’appassionante gioco “Il lancio della transenna” eseguito all’unisono da una serie di poveracci che in un attimo devono allestire quell’incrocio quando mancano pochi istanti dalla partenza della R.U.M.

Ma la situazione più disperata di quella Corri per Telethon capita a Roberto Menna che mi telefona a pochi minuti dalla partenza e mi dice: “Qui a San Sebastianello ci sta un ragno in mezzo alla strada!”… Il tempo di capire che non si trattava di un insetto ma di un cestello elevatore, quello con i quattro bracci di ancoraggio a terra, che gli dico di chiamare Rita, che già da allora avevo individuato come la “problem solver” dell’organizzazione. E infatti ci ho visto bene, perché grazie al suo intervento e quello di coloro che gravitavano nella zona, si fece scendere il titolare del mezzo meccanico a più miti consigli: gli fecero capire che mettersi a potare alberi con un coso che occupa tre quarti della carreggiata mentre questa è attraversata da centinaia di podisti che scendono a “palla de fòco” non sarebbe stata proprio un’idea geniale….

 

Un’altra edizione (ma non ricordo bene l’anno, forse 2010 o 2011) me la ricordo come una specie di incubo. Dal Comune di Roma erano arrivate direttive molto restrittive che obbligavano a circoscrivere il percorso unicamente all’interno di Villa Borghese. Per ricavare un giro da 5 km da ripetere due volte (i responsabilità di Telethon ci tenevano che fosse una 10 km), Franco, nel tracciare il percorso, dovette sfruttare i più importanti viali del parco sia in andata che al ritorno (il famoso percorso “margherita”), facendo una serie di biscotti, altrimenti la distanza non sarebbe stata raggiunta. La partenza invece era fissata all’interno del parco dei Daini (dietro la Galleria Borghese) e prevedeva il transito, dopo un centinaio di metri, in un cancello che non sarà stato più largo di due metri e mezzo. La cosa non ci preoccupava molto, visto che la gara in quella edizione non era stata pubblicizzata affatto e che, almeno secondo le voci giunte a Luciano, ci sarebbero state poche centinaia di concorrenti. Il sabato, ascoltando lo speaker che intratteneva il villaggio, sentiamo: “E allora amici, siamo a quota 2800 iscritti!”. Il terrore mi si dipinge in faccia: una partenza e un percorso pensati per non più di trecento persone, ne avrebbe ospitati dieci volte tanto! Riunione di emergenza: decidiamo di fare una partenza “controllata”, tipo safety car fino al cancello, e Franco prende la decisione di non usare auto di testa per evitare pericoli ai corridori in caso di doppiaggio, affidando tale compito a me, in bicicletta.

L’opzione bici era sicuramente la migliore e la più efficace, dato che, grazie a urla e fischietto, avrei potuto gestire le fasi di eventuali (cioè sicuri) doppiaggi. Opzione necessaria ma non sufficiente… Alla partenza nessun problema; ma, a mano a mano che la testa affrontava i biscotti, voltandomi a guardare le posizioni retrostanti, mi rendevo sempre più conto della massa abnorme di persone che avremmo incontrato a partire dal secondo giro. Ma la situazione più preoccupante la vidi in fase di rientro verso il Parco dei Daini (intorno al 4° km di gara), procedendo in direzione opposta rispetto alla coda che percorreva l’altra metà del vialone che va verso la Galleria Borghese: un esercito di camminatori, gente coi cani, risciò, pattinatori, persone sedute a terra a farsi le foto… e io che di lì a poco sarei dovuto transitare in mezzo a tutto quel casino con la testa della gara! Non faccio in tempo a preoccuparmi che, a poche centinaia di metri dalla fine del primo giro, vedo il famoso cancello stretto ancora strapieno di gente! Immagino gli scenari peggiori e quando transito sul traguardo che segnava la fine del primo giro e l’inizio del secondo, mi rivolgo al Luciano e Rita con “E’ un disastro!”. Il cancello fortunatamente si era nel frattempo liberato ma, appena uscito, mi imbatto in un muro umano di doppiati che camminano distrattamente. Il fischietto e le urla non bastano; devo zigzagare per farmi largo, nessuno si sposta, nessuno agevola il passaggio della testa. Vengo rallentato a tal punto da venire anche raggiunto e superato dai corridori di testa. Fortunatamente, a mano a mano che si procede, i doppiati sono sempre più veloci (o meglio, meno lenti) e il tappo umano diventa meno denso. Riesco in qualche modo a rimettermi in testa e, con la poca voce rimasta, a farmi largo prima della volata conclusiva al termine del secondo giro. L’anno successivo, in sede di Conferenza dei servizi, imponemmo che parte del percorso si sviluppasse fuori villa Borghese, pena l’annullamento della gara.

 

Capitolo Le borse della RomaOstia

Una delle prime novità rispetto a quando ancora affrontavo la RomaOstia da corridore, fu l’introduzione della borsa fornita dall’organizzazione: i vari appelli a non portare trolley modello “un mese di vacanza” spesso erano caduti nel vuoto e i camion borse non erano più in grado di ospitare valigioni voluminosi e pesanti contenenti la qualunque.

Per facilitarne il rintracciamento, si decise di acquistarle in sei colori diversi ripartiti uniformemente tra i vari camion e di stampare su ogni borsa subito il numero di pettorale, in modo da rispettare questo tipo di consegna.

L’attesa per questo “nuovo” tipo di merce fu raggelata da una sgradevolissima sorpresa: le borse erano state impacchettate non in ordine numerico ma per colore! A parte il colore, quindi, erano state assemblate assolutamente a casaccio. Una vera tragedia: la notte tra il giorno di arrivo della merce (martedì) e quello di apertura del villaggio (mercoledì) l’ingresso del Salone delle Fontane fu letteralmente tappezzato di borse allo scopo di ricostruirne l’ordine numerico crescente. Per questa operazione furono chiamati tutti: staff e responsabili dell’organizzazione, personale di fatica, volontari della consegna dei pettorali, amici parenti, amanti…. Tutti inchinati a terra per mettere in ordine quel casino tremendo.

Anche l’anno successivo le cose non andarono per il verso giusto: per stampare la grafica della borsa si mandò al fornitore l’esempio del pettorale F15. E cosa fece questo fenomenale fornitore? Le stampò tutte come quell’esemplare! All’Expo arrivarono 12.000 borse tutte recanti la stampa F15! L’unica che non dovette sovrapporre un adesivo fatto stampare in fretta e furia con il corretto numero di pettorale fu Roberta Boggiatto, titolare dell’F15.

Non parliamo poi dei problemi alla dogana: un anno il container che le conteneva fu bloccato da un’ispezione della Guardia di Finanza. La notizia fu comunicata all’organizzazione che fu rassicurata sulla consegna a partire da una settimana….dopo la gara! Si dovette smuovere il mondo per far accelerare le procedure di verifica in modo da far arrivare le borse in tempo.

Quando poi anche il produttore si comporta scorrettamente, allora a farne le spese sono gli atleti: il campione spedito all’organizzazione per l’approvazione recava cuciture rinforzate. Quando però arrivarono le borse destinate ai concorrenti, la cucitura rinforzata era scomparsa. L’esito? Strappi, cedimenti, lacerazioni e qualche atleta abbastanza infuriato alla ricerca dei propri beni sparpagliati per terra.

 

E per quanto riguarda il trasporto da Roma a Ostia? Pure lì ce n’è da raccontare. Al povero Enzo Frazzini (responsabile del Deposito borse) gliene sono capitate diverse. Litigate furibonde con alcuni vigili che bloccavano la carovana scortata dalle moto dei loro colleghi per consentire alle auto provenienti dagli incroci di attraversare la Colombo, scorte che a un certo punto si dileguano, lasciando i camion borse senza protezione, pullman che si intrufolavano nella carovana creando scompiglio e quell’anno – in cui registrai il record di telefonate fatte e, soprattutto ricevute, ben 108, dalle 4.15 alle 16.30 – in cui ci si mise anche Enzo che mi contattò per dirmi che tre camion in arrivo a Roma erano stati coinvolti in un incidente sul Grande Raccordo Anulare…. La mia risposta (ero già intorno a quota 60 credo) fu: “Ok, ma io che ci posso fare?” E lui “Hai ragione”.

 

Capitolo Transenne

Vera e propria croce e delizia per il sottoscritto, le transenne sono un autentico bene ambito sia per l’arrivo che per la partenza, oltre che per la delimitazioni del percorso. A me spettano i calcoli del fabbisogno per ogni singola gara. Alla RomaOstia abbiamo diverse tipologie: le transenne basse (altezza da 110 a 120 cm) le altre (da 150 a 200 cm) e gli Orsogrill. Sommando le varie tipologie, alla nostra mezza servono circa 6 km di pezzi, la maggior parte di tipo basso (circa 3 km e mezzo).

Fino allo scorso anno era il Comune di Roma a fornire le transenne basse per le nostre gare. E il referente per la gestione delle consegne è il famoso (per tutti gli organizzatori di gare) Pino Danieli. E’ con lui che bisognava confrontarsi, e spesso contrattare se non battagliare, per la fornitura che rispettasse le necessità organizzative. Si trattava di un vero terno al Lotto: dovevamo sperare che il giorno della gara non ci fossero eventi importanti tipo partite clou di calcio, visite del Papa, arrivi di politici stranieri, ecc., altrimenti non sarebbero arrivati tutti i pezzi necessari e io mi sarei dovuto barcamenare in astrusi calcoli per compensare la coperta troppo corta e soddisfare le esigenze soprattutto di partenza e arrivo. Troppe volte ho dovuto affrontare colloqui con Pino del tipo. “Quante transenne vi servono?” Io: “1.200”. E lui: “Scordatelo, al massimo te ne do 800…” Che toccava fare in questi casi? Adeguarsi e fare ingoiare il boccone amaro ai miei colleghi dopo aver scarnificato il quantitativo usato nel percorso. Le consegne iniziano almeno quattro o cinque giorni prima della gara. Perciò, dal lunedì che precedeva la gara il mio cellulare era attivo dalle 7, perché a quell’ora arrivava la telefonata di Pino: “Alessandro, ti sto mandando un lungo, due corti e un cabinato al laghetto dell’Eur. Fatti trovare lì fra mezzora”. Che vuol dire? Che un camion lungo (portata massima 70 transenne), due più corti (portata 50) e cabinato (35/40) sarebbero arrivati contemporaneamente. Dovevo gestire quindi l’accantonamento contemporaneo di 200 transenne, verificando e aggiornando i calcoli al volo, mentre zompavo da un camion all’altro per seguire in prima persona il giusto posizionamento. Il guaio è che non sempre ci riuscivo. E, sebbene gli autisti e gli operai avessero copia del piano di consegna (sia con mappa che con elenco scritto) che trasmettevo a Danieli, quando lo scarico veniva effettuato senza la mia presenza (perche evidentemente in quel momento ero impegnato a seguirne un altro), non sempre rintracciavo le transenne proprio nel punto indicato. E allora toccava a me spostarle per fare in modo che la domenica, quando le operazioni vanno svolte in fretta, gli spostamenti fossero ridotti al minimo sindacale. Il problema è che ognuna ha un peso dichiarato tra i 25 e i 30 kg. In seguito a queste faticate nello spostare decine di transenne, ho coniato un’infelice similitudine: “le transenne sono come le donne: non vedi l’ora che arrivino, ma quando sei stanco, se le devi portare in giro diventano pesanti”.

Quest’anno il Comune di Roma ha interrotto la fornitura e quindi si è optato per il noleggio: 1700 transenne di una ditta privata che ha soddisfatto in tutto e per tutto le nostre esigenze. Ma c’è stato il risvolto della medaglia: dopo aver lavorato dalle 2 di notte alle 15 di domenica, tornato a casa stremato, alle 22.50 telefonata dei vigili. Rispondo in stato comatoso farfugliando; mi avvisano di una segnalazione di transenne pericolanti sulla Colombo. In un attimo capisco lo scenario: sapevo che non tutte le transenne si sarebbero recuperate nella giornata di domenica, ma speravo che quelle sulla Colombo fossero le prime a essere rimosse. Giunto sul posto indicato e scortato da una volante dei vigili mi accorgo che le transenne pericolanti in realtà erano state di proposito coricate in terra in una zona lontano dalla sede stradale proprio per sicurezza. Ho maledetto il tizio, che per una volta avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, che ha lanciato l’allarme. Ma a quel punto la paranoia si era impossessata di me. E allora ho deciso di verificare tutto e di sistemare tutte quelle che si trovavano anche solo leggermente fuori posto, mettendole in massima in sicurezza. Morale della favola, rincaso all’una e 50 di notte, 24 ore dopo l’inizio del mio servizio….

 

Capitolo Elite Runners

Il settore dell’Elite runners è, tra le nostre gare, una prerogativa esclusiva della RomaOstia. A gestirla sono Manuel, Andrea Cacciani e Armando Piccardi.

Due eventi abbastanza imbarazzanti riguardano questo settore.

Il primo capitò mi pare 4 anni fa. I Top atleti vengono trasferiti in partenza da un pullman loro dedicato che li preleva dall’Hotel dove risiedono e li trasportano all’Eur in un apposito spiazzo. Poi, a gara in corso, il Pullman si trasferisce a Ostia seguendo l’auto di ricognizione percorso (la mia) per andare a parcheggiarsi un’altra area riservata in arrivo. Quell’anno, causa problema tecnico del sottoscritto, occorso intorno all’8° km di gara (gli specialisti, quelli bravi, parlerebbero del noto fenomeno denominato “pipì”), l’auto di ricognizione ferma al pit stop fu superata dal pullman top atleti. Dopo aver espletato le funzioni d’ufficio e rientrato in auto, vengo raggiunto da una telefonata di Andrea: “Alessa’, sbrigati, che abbiamo un problema con un vigile!” Che era successo? Che un vigile, malgrado il pullman esponesse il pass per transitare sul percorso, aveva deciso di farlo uscire dalla corsia centrale della Colombo obbligandolo a prendere la complanare, all’altezza di Via di Acilia. Mi reco a tutta velocità sul posto e provo animatamente a spiegare al vigile la necessità assoluta di far proseguire quel mezzo sulla corsia dalla quale proveniva, pena l’impossibilità di fargli raggiungere l’area dei top atleti in arrivo. Ma niente, non ne vuole sapere. Anzi, se avessimo insistito gli avrebbe anche fatto un verbale. Non mi resta che contattare il capo dei vigili e passarglielo per telefono. La scena è di quelle imbarazzanti: sentivo le urla del capo verso quell’agente che tentava invano di scusarsi a monosillabi “mah…veramente… sì signore… no signore…. è che credevo…. Però pensavo…. Ok, non penso più…..” E mentre la lavata di testa va avanti e con essa i vani tentativi di spiegazione, vedo i fari delle auto di testa gara: questo significava che avevano ricucito i circa 5 km che generalmente metto tra me e loro, cosa che significava e che stavano per raggiungermi. Panico. Strappo il telefono dalle mani del vigile e, impossibilitato ormai a far rientrare il pullman sul percorso di gara, gli urlo di proseguire a tutta velocità sulla complanare fino al successivo incrocio, quello di Via Pindaro. Parto a 100 all’ora e in un attimo sono nell’incrocio convenuto. Scendo, strappo il nastro – anche in questo caso mi lavoro lo zelante volontario della Protezione Civile col mio adagio preferito: “Sono io la garaaa!” – e faccio rientrare il pullman. Grande accelerata per riguadagnare spazio sulla testa gara e per raggiungere indisturbati l’arrivo.

L’altro episodio è una mitica gag che, come ce la racconta Andrea Cacciani, nessuno è in grado di farlo. Una cosa troppo divertente ascoltare questa storia da lui. Al centro della questione la forte ma decisamente spaesata atleta etiope, Ware, giunta terza tre anni fa (non ne sono sicuro, la memoria potrebbe tradirmi). Già al suo arrivo all’aeroporto manifestò cenni di inadeguatezza: all’appello dei presenti mancava chi rispondesse a “Ware”. “Chi è ware? Are you Ware?” L’unica, che non corrisponde a nessuno degli altri nomi, inizialmente nega, poi leggendo bene il nome scritto nell’elenco degli atleti giunti con quello stesso volo, ammette di essere lei.

Finita la gara, Andrea, padrone della lingua (sic!), le fa capire che il giorno dopo sarebbe andato a prelevarla allo Sheraton intorno alle 4 per accompagnarla all’aeroporto. Il giorno dopo, puntuale, Andrea è all’albergo ma dell’etiope nessuna traccia. Nessuna risposta dalla sua stanza. La Ware non c’è. Passano tanti, troppi minuti, Andrea è disperato, si è perso la terza classificata della RomaOstia e, mentre immagina gli scenari più torbidi, vede arrivare un taxi. E chi c’era a bordo? La Ware! Insomma, per farla breve, la ragazza era scesa nella hall dell’hotel in anticipo, era stata letteralmente accalappiata dal tassista che l’aveva fatta salire per trasportarla a Fiumicino. Arrivato all’aeroporto si vede rispondere picche alla richiesta del pagamento della corsa (la ragazza non aveva un euro in tasca) e allora, per arginare il danno, decide di riportarla all’albergo di provenienza dove viene intercettato da Andrea. Il nostro è bravissimo nelle manovre elusive riguardo le pretese di pagamento del tassista, a fargli una supercazzola, e a dargli il numero di telefono di un fantomatico presidentissimo che avrebbe pensato a risarcirlo (numero e nome del presidentissimo ovviamente di pura fantasia). Quindi gli strappa la Ware, la fa salire in macchina e, sfrecciando, la porta per la seconda volta a Fiumicino. Giunto al check-in con ritardo siderale, vede uno schieramento di hostess che scuotono la testa lateralmente in segno di “no!”. Ma il grande Andrea non si dà per vinto: intercetta quella che sembra più alla mano e, con sapiente uso del sempre utile pianto greco, le fa capire di dover assolutamente imbarcare quella campionessa, altrimenti ci sarebbe stato un rischio diplomatico. Insomma, con la Ware ormai in lacrime e Andrea a inscenare una scena madre, le hostess si commuovono e con rapida mossa la aggregano al personale di bordo che si stava imbarcando. Avrò sentito questo racconto fatto da Andrea almeno quattro volte, e in ogni occasione rido come alla prima.

 

Capitolo Misurazione percorso.

Non dovrei dirlo, e nessuno dovrebbe saperlo, ma per misurare il percorso faccio cose assolutamente poco ortodosse, anche perché trovo spazio per questa incombenza nei ritagli di tempo lasciati dal lavoro, cosa che significa che non sempre l’orario scelto è quello che prevede il minore traffico possibile. In tutte le occasioni, tuttavia, non mi è mai successo niente e la misurazione è sempre risultata sufficientemente precisa, o comunque sufficientemente studiata per ingannare gli orologi satellitari….

Ogni tanto si aggrega il buon Enzo Frazzini. E proprio con Enzo, all’approissimarsi di una delle Roma Urbs Mundi, decidemmo di svolgere il lavoro la mattina del sabato, subito dopo l’alba, in modo da non trovare nessuno e procedere speditamente.

In effetti procedemmo senza un’anima in giro. Su Via Celio Vibenna, per simulare la traiettoria ideale, è necessario tagliare trasversalmente la sede stradale per ben due volte per seguire la traiettoria ideale arrivando alla corda delle due curve. E proprio mentre Enzo effettua questa azione “spericolata”, sentiamo da dietro provenire un’auto a velocità sostenuta che strombazza ripetutamente col clacson. Dopo averci superato, Enzo si volta e lo manda a quel paese (eufemismo). Il tizio in auto inchioda, si ferma e ingrana la retromarcia fino a raggiungerlo. Era un agente della Polizia Municipale! Volevo morire. Avevo intuito che era meglio fare i vaghi, magari facendo finta di interrompere temporaneamente tutto… insomma, mentre il tizio opera la strigliata di prassi, provo a intervenire spiegando il nostro operato e inventando la scusa che avevamo chiesto una scorta della Polizia ma che ci era stata negata. Insomma, di riffa e di raffa, riusciamo a far accettare al vigile la nostra versione e a ripartire.

Procediamo fino a Via di Porta Ardeatina. Anche lì il deserto. Enzo misura rimanendo radente il marciapiedi ma camminando sulla strada. Passa un’unica auto. Si ferma e, come il vigile, torna indietro. Si tratta del solito cittadino che non ha niente da fare che ci apostrofa su per giù in questo modo: “Voi che siete dipendenti del comune e che fate lavori stradali, come fate a camminare sulla strada”. Enzo ed io, increduli, ci guardiamo in faccia, e a momenti sbottiamo a ridere. Chiediamo scusa al signore spiegandogli che non eravamo propriamente dipendenti del Comune e che non stavamo facendo lavori stradali. Al tizio quella spiegazione fu sufficiente per arginare la propria apprensione nei nostri confronti e andarsene.

 

Capitolo I Sogni

Ad almeno una settimana dalla gara mi capita di fare almeno un paio di sogni riguardanti il giorno della gara. E ogni volta c’è un fil rouge che li unisce: io arrivo tardi, o non sono pronto e preparato e sul percorso succedono i peggiori macelli (auto che invadono il tracciato, atleti che sbagliano direzione, podisti investiti, ecc.)

Un anno, mentre stavamo pranzando nella sede di Via Marco Polo, Laura ed io parliamo dei nostri sogni che, casualità, avevamo fatto la notte appena trascorsa e che riguardavano entrambi la RomaOstia. Lei aveva sognato di aver abbandonato i suoi compiti organizzativi e, contro il parere di Luciano, di essersi iscritta alla gara per correrla. Mentre gareggiava vede un’auto avere un grave incidente sul percorso di cui resta vittima una nostra amica (evito il nome). Reazione disperata e relativo “rimbrotto” di Luciano. Io invece avevo sognato di svegliarmi in un appartamento pieno di vetrate e, una volta uscito, di ritrovarmi nell’area di arrivo dedicata agli eltite runners. Chiedo l’ora a un tizio: sono le 9:30, la gara è partita da un quarto d’ora. Scatta l’agitazione e lo sconforto per il (consueto) ritardo ma vengo subito tranquillizzato perché sicuramente qualcuno si sarebbe occupato del percorso al posto mio.

Laura ed io ci divertiamo a comporre i due sogni: a causa delle nostre negligenze il percorso non era stato chiuso e, per questo, un’auto era entrata causando un dramma. Conclusione: ci siamo resi entrambi conto che ci stavamo stressando troppo….

 

Appendice

Come si potrà vedere, ho preferito parlare quasi esclusivamente dei fenomeni esogeni che hanno comportato problematiche alle nostre gare, scegliendo di omettere episodi riguardanti noi del comitato organizzatore…. Qualche errore lo commettiamo anche noi – io per primo: tanto per capirci, alla Race for the Cure di cinque anni fa combinai un disastro totale -, ma non sono titolato a fare il giudice e resto sempre dell’idea che solo chi lavora può sbagliare.

Abbiamo dovuto affrontare tanti altri episodi bizzarri: dal furto in ben due edizioni consecutive del cartello del 4° km della R.U.M., al boicottaggio della stessa gara mediante un lucchetto messo nel cancello di ingresso alla pista, che ho rimosso col frullino portatomi d’urgenza da mio fratello, alle buche sulla Colombo che lo scorso anno sono state attappate da un mezzo del Comune a gara iniziata (ho intercettato quel camion all’altezza di Via di Villa di Plinio mentre gettava asfalto a poche centinaia di metri da Piazzale Cristoforo Colombo e si accingeva a otturare quelle sul Lungomare), al tremendo errore di alcuni podisti di scambiare il bagnoschiuma “Latte di Capra” per una bevanda, finendo all’ospedale per una lavanda gastrica, al camion delle Arance (la stessa ditta che le ha fornite quest’anno) che diverse edizioni fa rimase incastrato sotto un cavalcavia… Lavorare con navigati ed esperti membri del comitato organizzatore fa spesso emergere storie divertenti nelle loro problematicità, eventi che ti insegnano sempre qualcosa e ti aiutano a giocare in anticipo su probabili o prevedibili problemi.

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